Cronache Babilonesi

Cronache Babilonesi
Escursione nella Filosofia - Edward Hopper (1959)

giovedì 8 novembre 2012

Nuovi appunti dal futuro




La vita è un messaggio, da qualcuno a qualcun altro. Un messaggio quasi sempre frainteso. Questo è tutto.

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Massima sincerità. Che vuol dire? Che ancora non ti sei trovato.

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La gioia di vederla sorridere, salutare e andare via. Non sia profanata da una assurda confidenza. Ormai godo solo della lontananza.

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Stupore di osservare come le persone desiderino essere in potere di qualcun altro. È una continua, sotterranea ammirazione per chi ci tiene per le palle. Vogliamo servire. Anzi, dovrei dire vogliono servire. Io, da quanto mi posso ricordare, non ho mai desiderato servire, né tanto meno essere servito. È forse questo il motivo della mia assoluta estraneità a questo mondo.

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Ogni cosa, ogni fenomeno, una persona, il mare, una montagna, mi lascia sempre dentro un senso di assoluta estraneità. È passato il tempo in cui le cose entravano dentro formandomi un’anima. Ora, tutto quello che mi circonda è strano, irreale. Proseguo nella vita quotidiana attraverso degli automatismi. Spesso rispondo anche appropriatamente agli stimoli esterni, come un navigatore esperto che sa indovinare le correnti.
Tuttavia il gioco dell’esistenza non fa più presa su di me. A tratti, però, affiora il ricordo di felicità passate, di antichi coinvolgimenti. Non è però il ricordo di avvenimenti precisi, che pure ci sono stati: no, è proprio il ricordo della sensazione. Io fui felice. È strano come ciò che mi procurò tanta felicità sia scomparso lasciando solo la sensazione.
Altre volte mi accade qualcosa di simile alla memoria involontaria.
Invece della madeleine di proustiana origine, un odore, un sapore, mi riportano a qualcosa di straordinariamente importante per me … ma non riesco a ricordare cosa.
Continenti immensi di passato giacciono dentro la mia anima e non so riviverli.
Se riuscissi a raggiungerli vivrei la vita dell’eterno presente.
È proprio il tempo perduto che più non si trova.

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Ogni anno ci sono un milione di suicidi in tutto il pianeta. Praticamente una persona su settemila si toglie la vita. Vuol dire che tra le migliaia di persone, corpi, facce, vestiti, che vedi in metropolitana, in strada, su una spiaggia, al lavoro, ogni giorno, ogni settimana, ogni mese, ce n’è sicuramente qualcuna che ha già deciso e che lo farà.
Quante persone sfiorandoti, ti hanno detto addio. Non lo saprai mai.

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Non mi interessano problematiche sociali, svolte dal punto di vista di una certa ideologia.
Mi interessa l’uomo, nella sua interezza. L’uomo che scopre se stesso, l’uomo che scopre il proprio mistero, andando oltre la maschera del consumatore – consumato.
L’uomo che dice no. La maniera in cui dice no. I mille ripensamenti, le sconfitte che fanno vacillare questo no, per poi riprendersi (o non riprendersi mai).
L’uomo in rivolta, per dirla con Camus, più Lo Straniero. Ma Camus è il novecento. E il novecento, con tutto il rispetto, ormai è morto, un po' come è morto Dio  nell'ottocento.
Come si rivolta un uomo, oggi (2012) in piena epoca tardo capitalista, in piena recessione mondiale, in pieno cambiamento climatico, con la diffusione capillare di nuovi mezzi di informazione e di interazione sociale? Come si ribella, come acquista la sua autonomia spirituale, un uomo costretto a vivere in un mondo non più (come ai tempi di Camus) dominato da due fronti contrapposti, ma prigioniero di un pensiero unico, totalizzante?
Come si rivolta un uomo che la Società Unica può privare all'improvviso di ogni mezzo di sostentamento, ogni dignità, ogni contatto, sia pure superficiale, con i suoi simili?
Camus si prendeva troppo sul serio, mi pare. Viceversa l'unica cosa rivoluzionaria è l'umorismo. L'uomo dice no mandando a fare in culo chi parla di cose che non conosce. Fanculo chi parla di povertà e disoccupazione e guadagna 500000 euro l'anno. Fanculo ai poveri che sperano di azzeccare un gratta e vinci. Fanculo alla competitività, alla produttività, allo sviluppo, alle riforme. Fanculo agli intellettuali, ai tatuati, ai reality, ai modelli di vita, alla sostenibilità, la natalità, la globalizzazione.
Ognuno deve inventarsi una prassi. 
Ognuno deve salvarsi da solo, mettendosi a disposizione degli altri. Bisogna vivere un curioso mix di compassione e individualismo. Equilibrio umano. Guardarsi negli occhi, toccarsi. Basta stronzate ideologiche, basta atteggiamenti di superiorità letteraria. Nessuno sa nulla e tutti sanno tutto. Siamo costretti a essere confusi. Scostiamo da parte le merci e guardiamoci negli occhi.
Caos - ordine oscillano su una corda tesa. 
Siamo a Babilonia. 
L'uragano Sandy ci saluta e se ne va.



4 commenti:

  1. analisi apparentemente cinica, di cui condivido ogni singola parola, ma consentimi di notare, forse perchè è un mio sentimento, una profonda e tremenda rabbia nostalgica di ciò che abbiamo perso della nostra "umanita"...un caro saluto

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  2. E' così, cara S.ilvya ... La mia rabbia nasce dall'impotenza nel vedere il modo stupido in cui abbiamo sacrificato la nostra bellezza umana per un piatto di lenticchie (metaforiche).

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